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Open Source nella Pubblica Amministrazione

L'Open source ormai ha la strada spianata verso un meritato successo. Meritato nella misura in cui pone l'essere umano al centro di una percorso tecnologico che riabilita il concetto di libertà come “veste” naturale della persona stessa. Un diritto che non si dovrebbe negare...il libero arbitrio appartiene a ciascuno di noi.

L'open source sta diventando protagonista in diversi Paesi del mondo. I dati che girano sono infiniti e le esigenze di sicurezza per controllarli e tutelarli crescono su base esponenziale. Avere il codice sorgente aperto nei programmi utilizzati all'interno della propria organizzazione, significa che i controlli atti a ricercare eventuali debolezze del sistema, o blackdoor, sono più agevoli (nel software proprietario ci si deve rivolgere al produttore).

Il governo cinese ha deciso di usare GNU/Linux per i suoi computer pubblici per la paura che i programmi Microsoft possano incorporare dei sistemi attraverso i quali la CIA si impossesserebbe di informazioni riservate.

Ma la stessa CIA, al pari di altre agenzie governative statunitensi (FBI e Nasa), è passata all'open source.

Il rischio di spionaggio è notevole se si pensa che alcuni software proprietari sono potenzialmente in grado di inviare, tramite internet, informazioni provenienti dal computer su cui sono installati verso computer remoti, ovviamente a insaputa dell'utente.
Siccome per la maggior parte sono sistemi a codice chiuso, nessuno, nemmeno il più esperto, può verificare se tale possibilità sia o meno presente.

I Ministeri della Cultura, dell'Educazione e del Tesoro francesi, così come il governo centrale messicano, la Germania, l'Austria, la Spagna, hanno scelto il software open source sostenendone la produzione e l'utilizzo. Altri si dimostrano ancora indecisi sulla strategia da adottare, ma si sta cercando a gran voce di orientare gli Enti Pubblici verso l'indipendenza dai monopolisti informatici.

In Italia la situazione è in netto miglioramento.

La diffusione del fenomeno e l'attenzione crescente ad esso rivolta, hanno indotto il Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, a promuovere uno studio sull'Open Source per approfondirne la conoscenza. Da poco è stata emanata la direttiva che ha portato l'Italia ad essere tra i primi Paesi al mondo a disporre di criteri in questo settore.

Lo stesso ministro sembra dare il buon esempio ricordando che “le strutture dei miei uffici sono orientate a considerare nelle scelte tecnologiche anche soluzioni open source, come si evince dal fatto che il portale www.italia.gov.it è sviluppato con software GNU/Linux e Apache”.

Il rapporto conclusivo della Commissione su “Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione” istituita il 31 ottobre 2002, dichiara:

...a tale fenomeno si collegano tematiche sociali, quali il tema della circolazione del sapere, delle libertà di divulgazione scientifica dei risultati della ricerca ed il dibattito sulle questioni connesse con la tutela del diritto d'autore. Inoltre, la diffusione dell'informatica presso i cittadini è talmente estesa che qualunque intervento nella Pubblica Amministrazione, relativo alla circolazione di documenti o dati con i cittadini, ha implicazioni diffuse; in particolare, il tema dei formati aperti è destinato ad avere un impatto sul rapporto fra Pubblica Amministrazione e cittadini, stimolando la cultura della condivisione”.

L'open source sembra offrire rilevanti potenzialità di carattere economico, culturale e sociale. Oltre alla sicurezza dei dati trattati e conservati, in linea con il Decreto Di Legge 196/03 del Garante della privacy, sono punti altrettanto importanti la comunicabilità e l'accessibilità dei dati da parte di un ampio raggio d'utenza e la stabilità dei formati di videoscrittura di ogni documento messo a disposizione dalla PA. Ciò per evitare, a causa dei continui cambiamenti di software e hardware, di dover ogni volta ricominciare da zero. I formati non dovrebbero subire evoluzioni con l'evoluzione del software che lo elabora.

Lo spreco del capitale economico, oltre che umano, sarebbe ingente.

L'adozione dell'open source, al contrario, porta ad un risparmio in fatto di costi per licenze. Però, per questioni di correttezza, un confronto economico corretto dovrebbe essere compiuto tra il TCO (Total Cost Ownership, Spesa Totale Possesso) delle soluzioni open source e il TCO delle soluzioni proprietarie.

Nel TCO confluiscono, oltre ai costi delle licenze, le spese dei servizi di supporto, della formazione, i costi d'installazione e di gestione.

Lo studio della Commissione ha individuato, per l'anno 2001, una spesa di 675 milioni di € per l'acquisto di software proprietario nella PA: una buona percentuale di questi soldi è servita per lo sviluppo, la manutenzione e la gestione dei programmi custom, ossia sviluppati su commissione per una specifica amministrazione. In questa percentuale, sono i prodotti custom ad assorbire il maggior costo degli investimenti informatici.

La presunta assenza di finalità commerciali per quanto riguarda i canoni di licenza e la necessità di fornire il software con il codice, per consentire di adattarlo alle realtà locali prima di distribuirlo e ridistribuirlo, condurrebbero naturalmente ad aderire al modello Open Source.

Un'altra convinzione è che i vantaggi in termini economici saranno immensi e che tale risparmio consentirà maggiori, e migliori, investimenti per potenziare i servizi pubblici in rete e per promuovere l'alfabetizzazione informatica dei cittadini.

Un pensiero è d'obbligo esprimerlo: un prossimo futuro, Internet e l'impiego di strumenti informatici diverranno una costante di vita per quasi tutti noi (più della televisione!), per lo studio, per il lavoro, per i contatti sociali..., dunque è davvero opportuno che in ogni computer non sia installato soltanto software prodotto da una sola azienda.

Attualmente, la tesi a favore della leadership di quest'ultima, non è ancora confutata.