Introduzione
Il fenomeno delle cosiddette “comunità virtuali” è uno dei più
interessanti tra le nuove modalità di socialità umana che sono offerte
dal connubio tra tecnologie informatiche e telecomunicazioni,
sviluppatosi enormemente in questi ultimi vent’anni.
Oltre
che interessante, questo fenomeno è anche molto discusso e controverso,
giacché gli studiosi che se ne sono occupati, e la ricerca ormai va
avanti da alcuni decenni soprattutto nell’ambito della
Computer-Mediated Communication (CMC), non sono ancora riusciti a
coglierlo e a definirlo completamente.
Da un lato il termine stesso “comunità virtuale” non soddisfa, in quanto, e questo è un punto di accordo tra la maggioranza degli studiosi, è un termine che si rifà a categorie classiche dello studio della società, come il concetto di “comunità”, le quali però non riescono ad essere esaustive di un fenomeno che, essendo totalmente nuovo, non può essere reso con concetti tradizionali, troppo legati a determinate teorie e modi di interpretare la società.
Dall’altro lato, anche l’aggettivo “virtuale” non è per certi aspetti soddisfacente nel descrivere il fenomeno. Definire queste comunità come “virtuali” può, infatti, trarre in inganno e farle vedere come comunità fittizie, in contrapposizione a quelle reali, come se l’interazione face-to-face (FtF) fosse un elemento indispensabile per avere una comunità.
L’idea che le comunità di persone, che nascono e si mantengono sulla rete, siano delle pseudo-comunità (Beniger, 1987), cioè una trasformazione della comunità tradizionale in un’associazione impersonale, dovuta alla diffusione di tecnologie comunicative flessibili e personalizzabili a seconda del destinatario, è un’idea che ha avuto molto successo agli inizi degli studi su questo argomento; così come quelle che hanno dato origine alla teoria RCS (Reduced Social Cues), cioè la teoria degli indicatori sociali ridotti, che vedeva l’interazione sociale via internet come un’interazione limitata dalla ridotta capacità di banda del medium comunicativo stesso.
Dopo queste ed altre visioni, che volevano le comunità online come comunità di serie B rispetto a quelle nate da interazioni FtF, ritenute le vere ed uniche interazioni complete, c’è stata una rivalutazione del “virtuale” e si è passati a teorie che si sforzano di capire la peculiarità e le possibilità di questo, ormai non così nuovo, modo di comunicare ed interagire.
Il presente lavoro di tesi rientra in questo ordine di idee e si pone come obiettivo principale, oltre a quelli descrittivi, quello forse più difficile da raggiungere: capire come in una comunità virtuale, caratterizzata da legami definiti come “deboli”1 e da un unico medium comunicativo possibile, l’interazione mediata dal computer che permette principalmente un’unica forma comunicativa, quella scritta2, si crei una cultura e delle pratiche comuni che rendono la comunità tale, tramite quel processo definito come condivisione e scambio di saperi.
Nella creazione di una comunità di pratiche, infatti, gioca un ruolo indispensabile la formazione di una cultura condivisa fatta di significati, credenze, miti, simboli e, appunto, pratiche comuni, che orientano i membri verso un’interpretazione condivisa della realtà o dell’ambito nel quale si sviluppa la comunità. Tale interpretazione porta alla creazione e alla continua conferma, ma anche evoluzione, di pratiche comuni, tramite un processo continuo di negoziazione del significato all’interno della comunità stessa.
Tale processo, che avviene quotidianamente in ogni realtà sociale, è particolarmente interessante quando avviene online in quanto in questo caso la tecnologia informatica, strumento non progettato esplicitamente per favorire la condivisione di saperi e l’apprendimento, costituisce l’unico medium comunicativo e può, quindi, influenzare e dirigere il processo stesso verso certi risultati piuttosto che altri. Uno degli interrogativi a cui si cercherà di rispondere tramite questo lavoro di tesi è proprio quello sull’esistenza o meno di questa influenza, sulla sua entità e sulle sue caratteristiche.
Per fare questo, la realtà delle comunità virtuali di Auto-Mutuo Aiuto (self-help communities) è una delle più indicate, in quanto composta da membri che il più delle volte non sono esperti di informatica e tecnologie, e che nemmeno aspirano a diventarlo, e che usano internet per scopi che esulano totalmente da un discorso “tecnico”. Essi vedono internet, e le possibilità comunicative che offre, come date, come scontate, cioè come normali, e proprio questo fa sì che il ruolo giocato da questi strumenti nello scambio di sapere, diventi molto influente. E’ quando una tecnologia diventa parte della normalità, che i suoi effetti sull’interazione sociale sono maggiori (Mantovani, 1995a). Ciò non significa che gli utilizzatori di questa tecnologia non siano degli utilizzatori consapevoli e non cerchino a loro volta di ragionare sull’uso della tecnologia stessa, cercando di migliorarla, non in assoluto, ma formandola, modificandola secondo i loro scopi. Questo fa sì che una stessa tecnologia possa prendere varie forme ed essere “interpretata” ed agita diversamente e seconda del tipo di utilizzatore. In questo modo, la tecnologia rivela anche la sua parte “sociale”, quella che la rende malleabile e flessibile, in grado di essere un veicolo della creazione di una comunità3.
Il formarsi di
una comunità di pratiche non avviene solo tramite la comunicazione,
esso avviene soprattutto in ambiti maggiormente operativi ed
esperenziali, dove il “sapere tacito” (Polanyi, 1962, 1966) e le
pratiche vengono creati e condivisi, spesso non intenzionalmente o non
così esplicitamente. Alla fine di quello che potrebbe essere visto come
un insieme di esperienze comuni, si crea un sistema di valori e di
rappresentazioni condivise.
Pertanto in una realtà come
quella online, dove l’interazione è solo comunicazione e dove non si
possono vivere esperienze comuni, eccetto quella della comunicazione
online stessa, risulta interessante vedere come la comunità riesca a
formarsi, non avendo a disposizione esperienze comuni, ma al massimo
descrizioni di esperienze individuali che vengono condivise con gli
altri partecipanti. In altre parole, l’interrogativo che qui ci si pone
è se sia possibile che si crei una vera comunità di pratiche, che
solitamente nasce dal fare e sperimentare le stesse cose, in una realtà
fatta solo di comunicazione; e, se ciò è possibile, secondo quali
modalità avviene questa “magia”?
Volendo spingersi oltre, ci si potrebbe chiedere se questa “magia” avviene anche quando il sapere condiviso che caratterizza una determinata comunità non ha a che vedere con le uniche esperienze veramente vissute assieme dai membri, come accade nella comunità sulla fobia sociale che è l’oggetto di studio della mia indagine.
In un caso come questo, infatti, le
pratiche e il sapere riguardante la fobia sociale non sorgono
immediatamente dall’interazione tra i membri della comunità, in quanto
non siamo in presenza di un gruppo di auto-aiuto che si incontra
offline e che vive la propria condizione di fobico sociale insieme agli
altri, ma di tante persone che vivono questa condizione separati l’uno
dall’altra e che si incontrano online per discuterne. La domanda è,
quindi, se esistono ugualmente in questa comunità pratiche comuni
riguardanti le modalità di trattare la fobia sociale.
Possiamo
definire pertanto due livelli di pratiche: il primo è quello che
potremmo chiamare di meta-pratica e che riguarda le pratiche che si
sviluppano nella comunità in relazione all’uso del medium comunicativo
stesso, cioè come esso viene usato, e certe volte anche modellato, per
rispondere alle esigenze comunicative della comunità; il secondo
livello è quello delle pratiche che riguardano l’argomento della
comunicazione, in questo caso la fobia sociale.
La distinzione
precedente non vuole essere un modo per distinguere quali delle due sia
la vera pratica, o quella più importante, ma ha solo un valore
euristico: a mio avviso, infatti, tutte e due sono delle pratiche che
nascono contemporaneamente e alimentano il formarsi della comunità
nello stesso modo. Entrambe sono, infatti, fondamentali per
caratterizzare la comunità come comunità online sulla fobia sociale.
Per
rispondere agli interrogativi sopra esposti, si è scelto di individuare
una comunità all’interno del panorama delle comunità di auto-muto aiuto
in italiano presenti sul web e di “osservarla” in tutte le sue
espressioni, che sono più che altro comunicative, proprio con
l’intenzione di individuarne le pratiche e il sapere condiviso, ma
anche le modalità del loro formarsi.
Prima però di iniziare con il resoconto di questa “immersione” nella cultura e nella pratica della comunità in questione, si procederà con alcuni capitoli introduttivi sui concetti di comunità, di comunità virtuale, di comunità di pratica e di apprendimento e sulle teorie principali che affrontano il fenomeno della Computer-Mediated Communication (CMC), per poi fornire alcune premesse metodologiche riguardanti il metodo e la tecnica di ricerca usati per lo studio della CMC in generale e di internet in particolare. Una volta definito in questo modo il contesto teorico e metodologico in cui si inserisce la ricerca, si procederà con l’esporre la ricerca vera e propria, nel tentativo di riportare alla superficie quei processi taciti che sono alla base del formarsi di una comunità di pratiche online.
Alla fine di questa immersione, scopriremo che il mondo
sottomarino della comunità virtuale di auto-mutuo aiuto non è poi così
lontano dal nostro mondo offline di superficie, anzi ne fa parte e lo
attraversa trasversalmente, condividendo con esso la maggior parte dei
processi di interazione sociale.
1 E’ stato lo studio pionieristico di
Granovetter (1974), sull’influenza delle reti sociali nel favorire
l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ad introdurre il concetto
di “legami deboli”. Il contributo di Granovetter rientra nell’approccio
strutturale allo studio delle reti sociali e sostiene che i soggetti
inseriti in reti di relazioni sociali deboli hanno maggiori possibilità
di accesso ad un numero di informazioni e contesti più diversificato
rispetto a quelli inseriti in reti sociali forti, come la famiglia, i
parenti, la cerchia di amici intimi, i quali offrirebbero una minore
varietà di agganci a contesti ed informazioni differenziate tra loro.
2
Non è totalmente vero che internet permette una sola forma
comunicativa; infatti, soprattutto negli ultimi anni, l’utilizzo di
webcam e di chat “vocali” è diventato un mezzo alla portata, per costo
e sapere tecnologico richiesto, di qualunque “internauta”. Va comunque
ricordato che la forma scritta è, almeno fino ad oggi, la più diffusa
ed usata perché offre, come vedremo in seguito, numerosi vantaggi.
3
Secondo la Actor Network Theory, la tecnologia sarebbe il frutto non
solo di un processo tecnico, ma di un processo allo stesso tempo
tecnico e sociale. Il tecnico e il sociale sarebbero inscindibili in
quanto due facce diverse della stessa medaglia, che mostra l’una o
l’altra a seconda del punto di vista adottato. Vedi Bruno Latour, “La
scienza in azione”, 1992, Edizioni di Comunità.