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Superare il digital divide

Gli ostacoli principali

Un primo passo verso la riduzione del divario digitale è rappresentato dal tentativo di “abbattere” quelle che vengono considerate le principali barriere che si presentano all’accesso. Come abbiamo visto, i dati sulla diffusione degli accessi descrivono interessanti livelli di crescita del fenomeno Internet, ma con diversi livelli di penetrazione tra Stato e Stato e tra aree del mondo. Numerosi, e di varia natura, sono, infatti, i fattori che concorrono a limitare l’accesso alle ICT, e in particolar modo a Internet, a varie fasce di utenti potenziali, soprattutto in determinate zone del mondo. Tali fattori sono: 1) la connettività, intesa come la disponibilità, la qualità e l’affidabilità dell’infrastruttura tecnologica per l’accesso; 2) i costi medi di accesso, fattore connesso al primo in termini di efficienza e velocità; 3) i contenuti e la lingua attraverso cui questi vengono espressi; 4) il livello di istruzione e di alfabetizzazione informatica dei cittadini di una società in genere, nonché il livello di istruzione degli stessi e della pubblica amministrazione; 5) la disponibilità di risorse da investire in infrastrutture tecnologiche e in ricerca e sviluppo (Carbone e Guandalini, 2002, pp.88-89).

Per quanto riguarda il ruolo della connettività, è quello di rendere possibile la connessione attraverso un’infrastruttura tecnologica efficiente. Il dato relativo fornisce l’indicazione della diffusione di accessi alle nuove tecnologie realizzabile in ogni paese e il relativo confronto con altri paesi. A prescindere dalla dimensione della connessione, quasi tutti i paesi del mondo sono, oggi, on-line.

Nel corso degli ultimi anni la crescita del resto del mondo, in termini di accesso, rispetto a quella statunitense è relativamente aumentata, anche se il predominio americano rimane comunque marcato [1].

Sul piano dei costi di collegamento, complessivamente continuano a scendere in tutti i paesi Ocse e ci si sta orientando verso formule di accesso illimitato, che svolgono un ruolo importante nell’attirare nuovi utenti e nel facilitare il commercio elettronico. Gli utenti dei paesi in via di sviluppo, tuttavia, per accedere alla rete pagano molto di più rispetto agli utenti dei paesi ricchi [2].

Esistono anche grandi differenze tra aree rurali e aree urbane.

Secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, infatti, gli abitanti delle città hanno una possibilità di accedere a Internet due volte superiore rispetto a quelli che abitano in campagna.

L’esclusione elettronica è in parte causata anche dalla mancanza di collegamenti fisici a Internet, soprattutto per le persone per le quali il costo di un personal computer risulta troppo elevato rispetto alle proprie possibilità economiche.

Portare i computer nei paesi in via di sviluppo per favorire il loro accesso ad alcuni non sembra la soluzione migliore.

Prima di tutto bisognerebbe creare le basi affinché le popolazioni dei PVS dispongano del tempo e delle competenze necessarie per assorbire le nuove tecnologie.

La semplice importazione delle stesse da paesi è un bene, ma bisogna evitare che la loro introduzione produca ulteriori diversificazioni e profitti solo per il paese importatore. Si tratta dell’idea di digital inclusion (Nardi,2001), intendendo con ciò l’integrazione tra le popolazioni di qualsiasi paese con le nuove tecnologie, in modo che queste diano effettivi benefici alla maggioranza delle persone. E non della digital invasion (ibidem), ossia l’introduzione forzata in un paese di una tecnologia che non è appropriata ai bisogni della popolazione.

Appare difficile, infatti, individuare i benefici di un computer collegato ad Internet in maniera discontinua, perché non c’è elettricità e non ci sono linee telefoniche adeguate, in aree del mondo nelle quali i principali problemi sono la salvaguardia della salute, l’accesso all’istruzione, l’accesso a tutti quei servizi che i governi non riescono a garantire.

L’intervento concreto dei governi nell’individuazione delle misure più idonee per la diffusione delle ICT può rivelarsi un ottimo punto di partenza [3].

Un’ulteriore barriera all’accesso alle informazioni è data dalla scarsa disponibilità di contenuti. Si pone quindi il problema della lingua usata nell’esprimere gli stessi; occorre perciò valutare due tipologie di dati: la distribuzione degli utenti Internet in base alla loro lingua madre e, in secondo luogo, la disponibilità di pagine web nella relativa lingua.

Nonostante i dati registrino una crescita elevata della comunità cinese e spagnola - come già visto al paragrafo 2.2.1. - la posizione di predominio su Internet della lingua inglese rimane un dato di fatto. Questo a causa della sua diffusione sia come madrelingua in numerosi stati, sia come seconda lingua in un numero comunque cospicuo di nazioni. Bisogna, inoltre, considerare il discorso legato alle società che sviluppano contenuti per il web, anch’esse prevalentemente di lingua inglese.

La numerosa rappresentanza su Internet di persone e paesi è legata non solo alla disponibilità di una infrastruttura affidabile e conveniente, ma anche al possesso di: (a) capitale umano in grado di utilizzare le tecnologie, di rinnovarle e in grado di adattarsi alle novità ed al cambiamento; (b) capacità dei vari settori della società di accettare ed assorbire le nuove tecnologie attraverso adeguate modalità organizzative e strumenti normativi (e-government, e-commerce); (c) disponibilità di interfacce[4] di semplice ed immediato utilizzo in grado di favorire l’interazione efficace tra individui ed infrastrutture (Carbone e Guandalini, 2002, pp.109-111).

Estendere l’accesso a Internet a tutti i cittadini del mondo è un obiettivo che oggi, Stati ed organizzazioni internazionali cercano di perseguire; raggiungere tale obiettivo, però, non equivale a garantire la capacità di utilizzo del mezzo.

L’Oecd è fra le organizzazioni internazionali che stanno dedicando particolare attenzione al tema dell’istruzione in relazione al divario digitale. Istruzione e cultura vengono considerate tra gli aspetti cruciali per favorire la partecipazione dei paesi in via di sviluppo ai benefici della diffusione dell’ICT. A questo punto si parla anche di learning digital divide (Oecd, 2001a), intendendo con ciò il divario nell’apprendimento come ulteriore elemento che tende ad acuire le distanze nell’utilizzo delle tecnologie tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo.

L’apprendimento va considerato centrale di fronte ad apparecchiature che sono praticamente inutili senza il possesso delle competenze necessarie per sfruttarle adeguatamente: “La tecnologia non consiste solo nell’attrezzatura pura e semplice, ma comprende anche le conoscenze necessarie per utilizzarla […] Il controllo tecnologico è quindi legato alla questione di chi ha accesso alle competenze, attrezzature e al know-how essenziali per progettare, implementare e impiegare la tecnologia” (Dutton, 2001, p.37).

L’alfabetizzazione informatica rappresenta, dunque, un fattore fondamentale.

Per superare le difficoltà associate all’apprendimento e alla familiarizzazione con una nuova tecnologia, con applicazioni e software per personal computer, occorre un livello di alfabetizzazione di tipo informatico.

La necessità di uno sviluppo tecnologico sostenibile, che attenui le differenze tra i vari stati e le varie culture, è diventata un’esigenza universalmente sentita, perché la “maggioranza delle persone, in particolare gli svantaggiati, i diseredati, i disoccupati e i membri delle comunità di minoranza, non appartengono a queste reti. Un ambiente tecnologico sostenibile significa sostegno e sviluppo di una tecnologia che promuova l’avanzamento sociale e la sopravvivenza culturale di quelle persone e comunità che o si trovano alle periferie delle culture di rete o alle periferie delle nazioni industrializzate […], la sostenibilità riguarda contraddizioni e conflitti che sorgono dall’allargamento del divario economico tra Nord e Sud, tra paesi ricchi e poveri” (cit. in Sias,2002, p.156).

Tesi di Laurea in Comunicazione Politica :
"Democrazia e nuove tecnologie: rischi di esclusione e opportunità di partecipazione"

di Sara Cirulli


- Universita' per Stranieri di Perugia -
- Facolta' di Lingua e Cultura Italiana -
- Corso di Laurea in Comunicazione Internazionale -