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Il divario globale

Asia e Africa

In Asia il divario interno tra stati tecnologicamente avanzati, come Giappone e Singapore, e nazioni ancora assai sottosviluppate, è enorme. Ci sono tuttavia, una serie di elementi che fanno presagire, secondo le previsioni del Usic (United States Internet Council), l’imminente esplosione di Internet nell’area Asia-Pacifico, che rappresenta oltre la metà della popolazione mondiale.

Sostanzialmente l’Asia gravita intorno a tre grandi aree: quella indiana, quella cinese e quella mediorientale. Particolare attenzione va data alla situazione dell’India, paese di contrasti spaventosi, quasi insostenibili. I suoi divides sembrano talmente profondi e quasi naturali, da far pensare che siano realmente connaturati nel tessuto sociale e culturale del paese. Eppure, è noto che gli ingegneri informatici indiani sono considerati tra i migliori della terra e che il successo della Silicon valley è dovuto in gran parte dalle massicce ondate di immigrazione dall’Asia meridionale, con l’India in testa.

La città di Bangalore, nel sud del paese, è uno dei gioielli della new economy a livello mondiale: centinaia di aziende di software hanno creato uno dei più importanti distretti legati alle nuove tecnologie e hanno cominciato ad offrire lavoro a distanza. Moltissime aziende americane ed europee hanno sfruttato questa opportunità: il costo medio mensile di un programmatore tedesco nel 2000 era di circa 3 mila dollari, quello di un sistemista indiano poco più di 300 (Undp, 2001, p.36-37).

Bangalore sembrerebbe, a prima vista, una quieta cittadina indiana, dove l’abbondanza di mano d’opera specializzata a basso costo e la possibilità di lavorare in modo decentrato, hanno potuto dare un’immagine di Silicon valley indiana.

Da una parte la città digitalizzata, che ospita aziende di software e di ingegneria, dall’altra l’India con le sue miserie e difficoltà: a cinquanta chilometri a nord di Bangalore non vi è luce elettrica e non più del 0,4% della popolazione ha accesso alle tecnologie della rete.

L’India ha 140 mila scienziati ed ingegneri di alto livello, ed è al settimo posto al mondo per il numero di professionisti dell’ICT e al tempo stesso l’analfabetismo in età adulta raggiunge il 44% della popolazione (Zocchi, 2003, pp.97-100). Bangalore è solo un esempio, per sottolineare la situazione di un paese dove ancora ci sono troppe disuguaglianze da superare, nonostante i molteplici progetti sviluppati e portati avanti da organizzazioni come le Nazioni Unite.

Nettamente distanziate dalle altre regioni, e con dati assolutamente incomparabili con le zone più progredite, ci sono il Medio Oriente (con l’eccezione di Israele) e l’Africa. In quest’ultimo continente, il numero di utenti della rete è completamente ininfluente, con l’unica eccezione per il Sudafrica, dove però i costi di accesso sono tanto elevati e fuori dalla portata della maggioranza della popolazione perché circa la metà dei service provider sono connessi tramite satellite (Tramanti, 2003).

L’Africa, nel quadro dello sviluppo tecnologico planetario, riveste un ruolo centrale e risalta in modo particolarmente forte per la sua evidente differenza di velocità.

Se da un lato troviamo, come nel caso del digital divide, delle lobbies politiche che cercano di adeguarsi per poter dare alle ICT la debita centralità nel quadro del governo dei vari paesi, dall’altra si riscontrano, soprattutto nell’Africa subsahariana, problemi più gravi in termini di dissesto delle strutture sociali, arretratezza, povertà, diritti umani negati. Tutto ciò, ovviamente, non facilita il lavoro di coloro che tentano, attraverso progetti ed azioni mirate, di ridurre il gap di alfabetizzazione e digitalizzazione dell’Africa con il resto del mondo (Sangonet, 2002).

Vi è un fattore molto importante che pone l’Africa al centro dell’interesse degli organismi internazionali, anche per quel che riguarda l’accesso alle nuove tecnologie: mentre negli altri paesi il digital divide assume le caratteristiche di una problematica di sviluppo interno, in Africa esso ha caratteristiche strutturali di relazione tra l’intero continente e il resto del mondo. In altre parole, se in India – dove la popolazione on-line è meno dell’1% - esistono comunque delle situazioni di forte sviluppo interno, in Africa l’accesso è virtualmente pari a zero anche nelle grandi città (eccezione fatta per il Sudafrica).

L’Africa, perciò, non ha un problema relativo al digital divide, in quanto il processo sembra non essere ancora partito, nonostante le tante iniziative intraprese.

Malgrado le difficoltà e i pericoli esistenti, gli sviluppi raggiunti nell’industria delle telecomunicazioni possono rappresentare, come già si è detto, una sfida ed un’opportunità da sfruttare per il progresso dei paesi in via di sviluppo. In genere, in questi paesi, l’evoluzione dell’industria informatica, comporta la privatizzazione, la liberalizzazione o almeno la riduzione di rigide strutture del passato, come il monopolio di un unico fornitore di servizi.

La liberalizzazione del settore porterebbe notevoli benefici per i cittadini, ma, di conseguenza, anche molti problemi: dai costi troppo elevati, all’ingiustizia dell’accesso, soprattutto per la popolazione rurale e povera, e, nel caso di Internet, la scarsa qualità e velocità di connessione, nonché l’inadeguatezza dei contenuti.

Molti governi privatizzano o liberalizzano, ma solo perché costretti; sono ossessionati dalla paranoia che, consentire libero accesso all’informazione al cittadino comune, possa indebolire il controllo ferreo che esercitano sul proprio paese (Kombo, 2001).

Uno degli ostacoli maggiori che si incontrano quando si cerca di estendere i servizi di informazione e comunicazione alle masse è quello di raggiungere le zone rurali, zone talvolta semidesertiche e scarsamente popolate. Tuttavia, se venissero impiegate le più recenti tecnologie, tra i grandi centri urbani e lungo le autostrade più importanti, la maggior parte dei paesi in via di sviluppo potrebbe realizzare il desiderato obiettivo di ottenere una fornitura universale di servizi.

Parlando di privatizzazione o di liberalizzazione, si deve tener conto che in vendita non sono merci qualunque, bensì una risorsa nazionale di vitale importanza, una parte della quale spetta a ciascun cittadino e alle future generazioni.

Si può dunque asserire che le telecomunicazioni e i recenti sviluppi conseguiti nel settore comunicativo, possono senza dubbio avere un effetto negativo sulle nazioni che hanno la peggio nella politica internazionale, ma con l’applicazione delle nuove tecnologie si può anche cercare di garantire ai paesi in via di sviluppo un accesso ad un’informazione e ad infrastrutture efficienti ed economiche, un accesso che consente di fruire di una massa di notizie, insegnamenti e altri contenuti appropriati e legati alla propria cultura.

Oggi solo il 10% degli individui comunica on-line e partecipa alla grande rivoluzione tecnologica. Per quel che riguarda gli altri, nei prossimi anni la tendenza è verso una crescita, che dovrebbe portare in linea oltre due terzi della popolazione del mondo occidentale: ciò rischia però di aumentare la marginalità delle aree più povere, più arretrate, più svantaggiate, isolate, siano esse all’interno dei paesi sviluppati, siano esse nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo (Castells, 2002, cit.,p.237).



[1] Maggiori informazioni in proposito all’indirizzo: www.segretariatosociale.it

[2] S.Tagliagambe (1998), afferma che “l’analfabetismo di carattere informatico produrrà le stesse fratture che sono state determinate in passato dalle tecnologie”.

[3] Si veda www.digital-divide.it

[4] Globalization Index: indicatore elaborato annualmente dall’A.T.Kearney’s Global Business Policy Council e dal Carnegie Endowment for International Peace.

[5] L’egemonia dell’inglese, tuttavia, sta progressivamente perdendo il suo predominio. In primo luogo a causa della proromprnte crescita di un gigante demografico come la Cina che, nonostante l’arretratezza delle infrastrutture, sembra destinato a svolgere un ruolo chiave, essendo già la terza lingua della rete. In secondo luogo, l’inglese è minacciato anche dallo spagnolo, forte del fatto di non essere solo una lingua diffusa nel mondo, ma di essere parlata negli stessi Stati Uniti da una minoranza in forte crescita demografica.

[6] Si tratta di un sistema che classifica 55 paesi in base alla loro capacità di partecipare alla rivoluzione informatica. Per stilare la classifica si prendono in condiderazione la qualità e la diffusione delle infrastrutture sociali, dell’informazione.

[7] Wireless: tipologia di comunicazione, monitoraggio e sistemi di controllo in cui i segnali viaggiano nello spazio e non su fili o cavi di trasmissione. In un sistema wireless la trasmissione avviene principalmente via radiofrequenza o via infrarosso.


Tesi di Laurea in Comunicazione Politica :
"Democrazia e nuove tecnologie: rischi di esclusione e opportunità di partecipazione"

di Sara Cirulli


- Universita' per Stranieri di Perugia -
- Facolta' di Lingua e Cultura Italiana -
- Corso di Laurea in Comunicazione Internazionale -