Skip to content.
Logo tecnoteca

Portale Tecnoteca.it

Logo tecnoteca

Vai al sito aziendale Tecnoteca.com


 

Digital Divide: un’introduzione

Dibattito intorno al digital divide

Il termine digital divide viene utilizzato per la prima volta nel 1995, quando la National Telecommunications and Information Administration (NTIA) [4], organo consultivo degli Stati Uniti sulle politiche nel settore delle telecomunicazioni, pubblica la relazione A Survey of the “Have nots” in Rural and Urban America, la prima di una serie intitolata Falling Trought the Net.

Questo, e la serie di rapporti successivi, mettono in luce una serie di differenze che limitano la diffusione e l’accesso uniformi alle nuove tecnologie da parte di tutti i cittadini.

Nel 1999 viene pubblicata una terza relazione [5], Defining the Digital Divide, in cui si sottolineava che la partecipazione di tutti gli americani nella società dell’informazione era strettamente connessa con lo sviluppo della digital economy.

Specificatamente, per quel che concerne Internet, si distinguevano cinque livelli di disparità: (1) tra la minoranza di connessi e la stragrande maggioranza di non connessi; (2) tra coloro che utilizzano Internet per una vasta gamma di attività, traendone effettivi vantaggi, e coloro che di vantaggi ne traggono pochi o nessuno; (3) tra coloro che possono permettersi servizi a pagamento offerti da Internet e coloro che si limitano a utilizzare le risorse gratuite; (4) tra coloro che utilizzano la rete per effettuare operazioni di e-commerce e coloro che non effettuano alcuna transazione on-line; (5) tra coloro che beneficiano dell’utilizzo della banda larga e coloro che rimangono imbottigliati nella lentezza della rete.

Dall’evidenza di queste rilevazioni e da altri studi, la consapevolezza dell’impatto economico, culturale e sociale del digital divide si è affermata gradualmente, emergendo con vigore negli ultimi anni e diventando la voce principale del programma di sviluppo economico e sociale della comunità internazionale [6].

I benefici e le opportunità offerte dall’accesso e dall’utilizzo delle ICT rappresentano, infatti, il nuovo modello alla base della crescita.

Così, in occasione del World Economic Forum (WEF) tenutosi a Davos nel 2000, si è affrontato per la prima volta il tema del digital divide sul piano internazionale.

Il Forum si è concluso con la nascita del gruppo di lavoro “Bridging the Global Digital Divide Task Force” con il compito di elaborare suggerimenti e proposte per fare in modo che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscano un’opportunità di crescita per tutti [7].

Nel 1999 si è costituito un “High Level Panel” di esperti di tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la redazione del Millennium Report [8], pubblicato nell’aprile del 2000 come base di riflessione per il Millennium Summit delle Nazioni Unite del settembre dello stesso anno.

Tale rapporto contiene, tra i molti temi trattati, tre proposte riguardanti specificatamente l’ICT: l’istituzione di un corpo di volontari, denominati cyber troops, incaricati di avviare i paesi in via di sviluppo all’utilizzo di Internet e delle nuove tecnologie [9]; la costituzione di un Health InterNetwork per costruire e collegare in rete 10 mila siti di ospedali e cliniche nei PVS [10] e infine la creazione di una rete cellulare e satellitare di pronto intervento - First on the Ground - per affrontare disastri naturali ed altre emergenze.

L’“High Level Panel” ha, inoltre, proposto la realizzazione di una struttura operativa tesa a colmare il divario digitale dei paesi in via di sviluppo sotto il protettorato delle Nazioni Unite, ma al di fuori delle sue strutture organizzative, finanziabile con l’apporto di tre soggetti complementari: l’industria dell’ICT, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni benefiche.

Dal 21 al 23 luglio del 2000 si è tenuto ad Okinawa un vertice del G8, durante il quale viene ribadita la necessità di colmare il divario digitale. Al termine del summit viene sottoscritta una Carta sulla società Globale dell’Informazione [11], in cui si prevede che lo sviluppo e la diffusione dell’ICT coincidano con: (a) la crescita economica sostenibile, andando di conseguenza ad aumentare il benessere pubblico; (b) la maggiore coesione sociale; (c) il potenziamento della trasparenza e della responsabilità dell’azione di governo, quindi lavorare per realizzare compiutamente il potenziale della democrazia; (d) la promozione dei diritti umani e della diversità culturale, per promuovere la pace e la stabilità internazionale.

Per raggiungere tali obiettivi dovrà, ovviamente, maturare un preciso impegno di inclusione, rivolto a garantire che ogni soggetto possa essere messo in condizione di partecipare direttamente e che nessuno possa venire escluso dai benefici della società dell’informazione globale.

Non bisogna dimenticare, infatti, che le potenzialità di questa nuova società dipendono dai valori democratici che incoraggiano lo sviluppo umano, quali la libera circolazione dell’informazione e della conoscenza, la tolleranza reciproca e il rispetto per la diversità (Buongiovanni et al., 2003).

Una solida struttura di politiche connesse alle ICT e all’azione dei vari partecipanti, possono determinare un cambiamento nel modo in cui interagiamo, promuovendo opportunità economiche e sociali in tutto il mondo.

In particolare, un’efficace partecipazione tra partecipanti, inclusa una cooperazione di politiche congiunte, risultano idonee ad un solido sviluppo della società dell’informazione globale.

Gli estensori della Carta di Okinawa affermano come anche il settore privato giochi un ruolo chiave nello sviluppo dell’informazione e delle reti di comunicazione; tuttavia spetta ai governi creare una politica prevedibile, trasparente e non discriminante, nonché un ambiente normativo, indispensabile a questa società (ivi, pp.24-27).

Per quel che concerne il superamento del digital divide, si segnala l’importanza critica che ha assunto tale dislivello nelle e tra le nazioni e si riafferma la necessità di realizzare una strategia coerente per risolvere il problema, insistendo su un’efficace collaborazione tra governi e società civili, in grado di rispondere alla rapida evoluzione degli sviluppi tecnologici ed evidenziando una continua spinta in direzione di un accesso universale e conveniente.

Ulteriore impegno riguarda la promozione della partecipazione globale, sostenendo che le ICT rappresentano una formidabile opportunità per le economie emergenti ed in via di sviluppo. I paesi che riescono a sfruttare il suo potenziale possono aspettarsi di scavalcare gli ostacoli convenzionali dello sviluppo infrastrutturale, per soddisfare più efficacemente i propri vitali obiettivi di sviluppo, quali la riduzione della povertà, la sanità e la cultura, nonché beneficiare del rapido sviluppo del commercio elettronico globale.

Con questo documento il G8 si incarica, quindi, di promuovere la creazione di una partnership più forte tra paesi sviluppati e in via di sviluppo nella società civile, con le aziende private e le organizzazioni non governative, le fondazioni e le istituzioni accademiche, e con altre organizzazioni internazionali.

L’impegno consiste principalmente nel fare in modo che i paesi in via di sviluppo possano, in collaborazione con gli altri, avere input finanziari, tecnici e politici per creare un ambiente migliore per l’ICT ed il suo impiego (Carbone e Guandalini, 2002, pp.78-80).

In questo contesto viene prevista l’istituzione di una Digital Opportunity Task Force (DOT Force) [12], finalizzata a preparare un rapporto dettagliato riguardante le azioni da intraprendere per ridurre il divario digitale tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo e di conseguenza individuare gli interventi necessari per far sì che la rivoluzione digitale porti benefici a tutti i cittadini, siano essi ricchi o poveri. Come detto più volte, il digital divide minaccia di esasperare le già gravi disuguaglianze socioeconomiche che esistono tra i paesi e fra le comunità, rendendo più onerosi i costi che potrebbero derivare da una mancata azione in questo settore.

La DOT Force ha esaminato le cause del divario, le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie per ridurre la povertà e favorire la partecipazione alle decisioni, nonché il complesso insieme di strategie, politiche, azioni necessarie affinché il digitale rappresenti un’opportunità per tutti.

La conclusione raggiunta alla fine di questo processo di analisi rivela che, se appropriatamente applicate, le ICT possono offrire enormi opportunità per ridurre le disparità socioeconomiche e favorire, in modo sostenibile, la creazione di ricchezza a livello locale, contribuendo così al raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla comunità internazionale.

Consentendo l’acquisizione e la condivisione di un patrimonio di saperi ed informazioni, le nuove tecnologie potranno offrire nuove e più efficienti metodologie di produzione, avvicinare mercati altrimenti irraggiungibili ai produttori locali, migliorare l’erogazione di servizi pubblici e incrementare l’accesso a beni e servizi sociali di base.

Le ICT possono quindi aiutare ad innescare un circolo virtuoso che conduce allo sviluppo sostenibile. Tuttavia, nel momento in cui fossero male applicate, potrebbero generare ulteriore emarginazione fra i gruppi meno abbienti e, di fatto, escluderli dalle reti. C’è per questo l’esigenza di agire con tempestività, visto il ritmo accelerato con cui si sviluppa l’innovazione.

In questa direzione la DOT Force individua, sulla base della Carta di Okinawa per la Società Globale dell’Informazione, una serie di azioni prioritarie che devono essere attuate dai governi nazionali, dai cittadini, dalla comunità internazionale, dal settore privato, dalle organizzazioni no-profit e dalle collettività, attraverso varie forme di partnership, affinché queste opportunità divengano realtà.

Tali azioni riguardano: (1) la promozione di azioni tempestive, in termini di politiche, sistemi di regolamentazione e sistemi di network, elaborando e supportando nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti le strategie nazionali relative all’uso delle ICT, nonché la partecipazione universale alla soluzione delle problematiche di politica internazionale e di carattere tecnico poste dalle nuove tecnologie e da Internet; (2) il miglioramento della connettività, l’incremento dell’accesso e l’abbassamento dei costi, attuando e supportando una serie di interventi mirati ed iniziative puntuali per l’inclusione di paesi meno sviluppati nelle reti di telecomunicazioni; (3) la valorizzazione delle risorse umane e la creazione di competenze, attraverso un ventaglio di azioni di formazione, istruzione, creazione e condivisione del sapere, promuovendo inoltre l’utilizzo delle tecnologie in campo sanitario per la lotta a patologie infettive e trasmissibili (HIV); (4) la promozione della partecipazione al commercio elettronico globale (e-commerce) e ad altre reti, attraverso iniziative finalizzate allo sviluppo, riducendo la povertà e favorendo l’impegno internazionale verso la creazione di contenuti ed applicazioni locali; (5) la promozione di iniziative finalizzate all’inclusione dei paesi meno sviluppati nelle ICT, stabilendo la priorità delle tecnologie nelle politiche e nei programmi di assistenza allo sviluppo del G8 e di altre organizzazioni, accrescendo il coordinamento delle iniziative multilaterali. Si sostiene, inoltre, il diritto fondamentale di accesso al sapere e all’informazione come condizione indispensabile per lo sviluppo dell’uomo moderno.

In conclusione si può quindi notare come quella proposta dalla DOT Force, rappresenti senza dubbio la piattaforma più importante nella guida e nell’impegno della comunità internazionale in favore dello sviluppo (vedi appendice).

Per quanto riguarda l’Europa, il segnale più importante rispetto al tema diffuso dell’ICT parte dalla Commissione Europea che, riunita a Lisbona nel marzo 2000, lancia il Piano d’Azione “e-Europe 2002”, nel quale vengono individuati una serie di obiettivi volti a creare un ambiente favorevole allo sviluppo della e-economy in Europa, ad accelerare la connessione di scuole e università a Internet, a stimolare la formazione alle nuove tecnologie e a promuovere l’adozione dell’innovazione da parte di tutti.

Le linee d’azione previste da Piano europeo sono finalizzate al raggiungimento di tre obiettivi prioritari: (1) realizzare un accesso più economico, rapido e sicuro a Internet; (2) investire nelle risorse umane e nella formazione, favorendo la partecipazione di tutti all’economia basata sulla conoscenza; (3) promuovere l’utilizzo di Internet, anche nella pubblica amministrazione e nei servizi, accelerando l’e-commerce e sviluppando contenuti digitali per le reti globali.

Alla conclusione del Consiglio europeo di Lisbona, segue l’istituzione di un’iniziativa denominata “elearning, pensare all’istruzione di domani [13]”.

I piani d’azione “eEurope 2002” e “eEurope 2005”, fanno dell’elearning una priorità assoluta, fissando obiettivi ambiziosi per quanto riguarda l’infrastruttura, l’attrezzatura e la formazione di base che tale integrazione presuppone.

L’iniziativa elearning sviluppa questi obiettivi dal punto di vista pedagogico, sottolineando la necessità di metodi educativi innovativi per quanto riguarda l’apprendimento e l’accesso facile alle risorse e ai servizi di elearning. Inoltre mobilita gli stati e i soggetti interessati ed interviene per appoggiarne e coordinarne l’attività a livello europeo.

Questa iniziativa mira inoltre, ad accrescere l’impegno per la formazione ad ogni livello, in particolare promuovendo una “cultura digitale” per tutti e, generalizzando, adeguati tipi di formazione per i formatori ed insegnanti, che comprendano non soltanto l’aspetto tecnologico e innovativo, ma soprattutto l’uso didattico della tecnologia.

Le scuole e le università sono chiamate a diventare centri polivalenti e accessibili a tutti per l’acquisizione delle conoscenze, soprattutto nel momento in cui queste svolgono un ruolo chiave nella produzione e divulgazione delle conoscenze, nello sviluppo della ricerca e della formazione continua, tutte caratteristiche della società della conoscenza.

Attraverso lo sviluppo del piano di elearning, si è andata sempre più riconoscendo la necessità di non separare le innovazioni tecnologiche dal contesto sociale, economico e culturale.

Il divario digitale si combatte anche favorendo contenuti multilinguistici, di portata globale, ma con connotazioni locali, che favoriscano la crescita di nuove abilità e competenze.

Questo aspetto si inserisce nel dibattito più ampio delle nuove competenze di base da acquisire lungo l’intero arco della vita, necessarie per non essere esclusi dalla società che si sta formando.

L’uso critico e responsabile deve essere contrapposto all’abuso delle nuove tecnologie in un’ottica professionale che sia rivolto a formare ed informare, invece che ad omologare.

L’Italia ha poi ospitato, nel corso del 2001, il Terzo Global Forum a Napoli dedicato all’e-government [14], inteso come strumento di sviluppo sotto la responsabilità delle Nazioni Unite, e nel corso del 2002, la Conferenza di Palermo sempre sul tema dell’e-government.

I temi discussi hanno focalizzato l’attenzione sulla riduzione del digital divide e su donne e pari opportunità nella società dell’informazione.

Nella prospettiva dell’e-government, o amministrazione elettronica, il divario digitale e le componenti relative al suo superamento non possono essere visti solo come intervento dello Stato nella diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma dovranno essere il frutto del lavoro congiunto di differenti soggetti interessati, in primo luogo governi ed istituzioni.

Il piano d’azione di e-government comprende alcune categorie di azioni di informatizzazione, che prevedono il miglioramento dell’efficienza operativa interna delle singole amministrazioni nell’erogazione dei servizi al cittadino, consentendo l’accesso telematico alle informazioni della pubblica amministrazione.

Il cittadino dovrà avere l’opportunità di ottenere ogni servizio pubblico da una qualsiasi amministrazione, indipendentemente da vincoli di competenza territoriali o di residenza; potrà richiedere servizi esclusivamente in base alle proprie esigenze, non in base alla conoscenza di quale amministrazione faccia che cosa (Ufficio Studi del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, 2003).

Questa è la sfida dell’e-government per combattere il digital divide, per realizzare una partecipazione più attiva e più facilitata del cittadino, che potrà essere vinta solo grazie ad una profonda e coerente interazione tra pubblica amministrazione, fornitori di strumenti tecnologici ed utenti di servizi.

Ai governi centrali compete il ruolo di definire le normative, gli standard e fornire le infrastrutture di base per la connettività, mentre gli enti territoriali hanno il compito di estendere tutto ciò ad ogni singola realtà locale. E’ proprio intervenendo in questo ambito, quello locale, che si può agire in modo più sostanziale ed efficace al fine di ridurre il digital divide tra i territori e di aumentare l’inclusione elettronica per tutti i cittadini.

E’ importante ricordare, infatti, che le amministrazioni locali hanno una capacità unica e specifica di farsi interpreti delle necessità e dei bisogni dei propri territori e di individuare attitudini analoghe o complementari nelle altre realtà territoriali, anche a livello nazionale. Sono esse perciò, i terminali naturali di una rete di comunicazione che le ICT possono rendere enormemente più efficienti, ponendosi alla base di un’integrazione sostanziale delle differenti realtà e di un tendenziale superamento delle barriere culturali e del divario tecnologico (ibidem).

Il ciclo di conferenze dedicato al digital divide ha cercato di indicare strategie e strumenti idonei ad assicurare che tutta la popolazione mondiale possa partecipare ai benefici e alle opportunità offerte dall’accesso e dall’utilizzo delle tecnologie dell’ICT, e le riflessioni scaturite hanno fornito una piattaforma per l’esplorazione di aspetti, idee e nuove vie percorribili (Carbone e Guandalini, 2002, pp.81-82).

Alla base del lavorare insieme per il bene della comunità internazionale vi sono strategie divergenti, come: investire nelle ICT per promuovere lo sviluppo di questo settore, come priorità a se stante; cercare di creare attraverso misure politiche, normative, economiche, sociali o educative un ambiente favorevole al pieno dispiegamento delle potenzialità delle nuove tecnologie; oppure utilizzare al meglio tutte le possibili applicazioni dell’innovazione per raggiungere obiettivi prioritari, come eliminare la povertà e far sviluppare la crescita delle aree più arretrate del mondo (Morawski,2001).



[1] La rete può essere considerata figlia della leggendaria Arpanet (Advanced Research Project Agency), nata nel 1969 negli Stati Uniti con l’obiettivo di creare una forma sicura di comunicazione nell’eventualità dello scoppio di un conflitto nucleare. Nel 1989 Tim Berners-Lee presso il Cern (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra inventa il World Wide Web, un sistema di distribuzione e scambio delle informazioni in rete. La trasformazione di Internet in un mass medium è successiva, e si colloca nel 1994, con la distribuzione gratuita di Netscape, un programma finalizzato alla navigazione in rete.

[2] Fonte: How Many On Line, www.nua.ie , agosto 2001.

[3] Il Digital divide, letteralmente divisione digitale, viene anche definito come gap (divario) o lag (ritardo) o split (spaccatura) che si deve narrow (restringere) o bridge (collegare o unire con un ponte) o close (chiudere).

[4] Si veda www.ntia.doc.gov

[5] La seconda relazione di Falling Trought the Net, intitolata New Data on the Digital Divide, viene pubblicata nel 1998 e prendeva in esame i tassi di penetrazione di telefoni e personal computer. Vi è poi una quarta relazione, Toward Digital Inclusion, del 2000, in cui l’analisi è stata focalizzata sugli accessi residenziali ai servizi Internet ad alta velocità.

[6]Vedi per esempio le relazioni: Oecd “Understanding the Digital Divide”, 2001,  oppure Ilo “World Employment Report”, 2001.

[7] Fanno parte del gruppo il gotha dell’ICT mondiale (Accenture, Alcatel, Toshiba, Viacom, ecc.), ma anche Harvard University, Japan Ministry of Post and Telecommunications, la Banca Mondiale, la Commissione Europea e molte fondazioni americane.

[9] Questa iniziativa prese il nome di Unites; una struttura collaborativa all’interno della quale le persone condividono la propria conoscenza e le proprie capacità. Per approfondimenti si veda: http://www.unites.org/index.html

[10] L’Organizzazione Mondiale della sanità seguiva per conto delle Nazioni Unite lo sviluppo di questa iniziativa anche con partner esterni.

[11] www.g8kyushu-okinawa.go.jp.

[12] Composta da 43 membri, di cui 24 rappresentanti del G8 (3 per ogni paese membro: uno per il governo, uno per il settore privato, uno per la società civile), un rappresentante della Commissione Europea, 9 rappresentanti dei paesi in via di sviluppo (Bolivia, Brasile, Cina, Egitto, India, Indonesia, Senegal, Sudafrica, Tanzania), 2 rappresentanti per il segretariato (Banca Mondiale e Undp), 4 rappresentanti di altre organizzazioni internazionali (Ecosoc dell’Onu, Itu, Oecd, Unesco, Unctad), infine 3 rappresentanti delle associazioni imprenditoriali (Wef di Davos, Gbde, Giic).

[13] Secondo la decisione presa dal parlamento europeo e dal consiglio, recante adozione di un programma pluriennale (2004-2006) per l’effettiva integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei sistemi di istruzione e formazione in Europa (programma elearning), con il termine elearning si intende l’uso delle nuve tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell’apprendimento agevolando l’accesso a risorse e servizi nonché gli scambi e la collaborazione a distanza. Per maggiori informazioni si veda: COM (2000) 318 definitivo.

14] E-government: Può essere definito come il processo di trasformazione delle relazioni interne ed esterne della pubblica amministrazione che attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche e di comunicazione punta ad ottimizzare l’erogazione dei servizi, a incrementare la partecipazione di cittadini ed imprese, e a migliorare la capacità di governo della stessa pubblica amministrazione (Uffcio Studi del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, 2003, p.121).


Tesi di Laurea in Comunicazione Politica :
"Democrazia e nuove tecnologie: rischi di esclusione e opportunità di partecipazione"

di Sara Cirulli


- Universita' per Stranieri di Perugia -
- Facolta' di Lingua e Cultura Italiana -
- Corso di Laurea in Comunicazione Internazionale -