Retrocomputing
Il retrocomputing è considerata una pratica affine al trashware perché comporta sempre un’azione di recupero di una macchina obsoleta. Il fine è però completamente diverso: mentre il trashware si propone di contrastare il consumismo tecnologico e il divario digitale, il retrocomputing ha come obiettivo la ricerca e il recupero di macchine di vecchia generazione perché rappresentanti di tappe significative dell’evoluzione tecnologica – come gli home computer ad esempio.
Questa pratica raccoglie attorno a sé un ampio movimento di appassionati che ha giustificato la creazione di diversi eventi dedicati.
Le ragioni che spingono al retrocomputing sono principalmente due: il collezionismo e l’archeologia informatica.
Il collezionismo di vecchie macchine non richiede un grande impegno economico ma conoscenze tecniche e tempo: spinto dalla passione e dall’interesse personale, il collezionista desidera preservare l’integrità e l’identità della macchina: perciò evita in ogni modo il suo smembramento, la ripara se necessario e la mantiene in funzione: a questo punto la collezione si è arricchita di un nuovo "pezzo".
L’archeologia informatica riguarda la ricerca storica sull’evoluzione degli strumenti informatici con l’obiettivo di recuperare e conservare in un vero e proprio museo il vecchio computer nella sua fisionomia originaria perchè testimone di un tempo passato.
E’ un passato molto breve e recente, vecchio di pochi decenni, ma con i ritmi sempre più veloci di evoluzione dell’hardware è già necessario sottolineare la continuità fra le vecchie e le nuove macchine non solo per riscoprire i pc ormai obsoleti ma anche per capire meglio gli strumenti informatici che usiamo oggi: in fondo, il vecchio Commodore 64 non è altro che… il trisnonno del sofisticato pc che abbiamo appena acquistato per il nostro studio.